Il commercio mondiale di macchine per l’industria grafica, cartaria e del converting

Nel 2021 si è registrato un forte recupero (prossimo al +20% nei valori in euro), di fatto colmando pressoché completamente il gap subito nell’anno pandemico (2020: -16.6%; fonte ExportPlanning). A consuntivo 2021 l’export italiano del settore (con un valore di 1.6 miliardi di euro, pari ad una quota del 9.7 per cento) si è confermato al terzo posto assoluto nel novero dei principali paesi esportatori mondiali, dietro a Germania e Cina.

Il posizionamento di prezzo delle vendite italiane appare orientato ai segmenti “premium-price” dei mercati mondiali, con oltre il 40% dell’export nazionale classificabile come di “qualità”, ossia caratterizzato da un posizionamento di prezzo significativamente superiore alla media. La competizione internazionale sui segmenti “premium-price” vede, oltre all’Italia, la presenza delle imprese tedesche, di quelle giapponesi, statunitensi e francesi e – seppur con valori di esportazione più contenuti – di un ruolo di nicchia per le imprese esportatrici di Svizzera e Israele.

I mercati internazionali più interessanti in termini di dimensioni e di rilevanza dei segmenti “premium-price” sono quelli di Stati Uniti e Cina, che si caratterizzano entrambi per valori delle importazioni settoriali ampiamente superiori al miliardo di euro (rispettivamente 2.4 e 1.4 miliardi) e con una incidenza delle importazioni di “qualità” superiore al 30% del totale importato.

I valori raggiunti l’anno scorso dal commercio mondiale del settore (16.3 miliardi di euro) saranno certamente superati a consuntivo 2022: secondo le pre-stime formulate da StudiaBo sulla base dello scenario macroeconomico del Fondo Monetario Internazionale, il commercio mondiale del settore è atteso sperimentare una crescita di oltre 6 punti percentuali nei valori in euro, arrivando a superare i 17.3 miliardi di euro. Nell’orizzonte previsivo 2023-2025 ci si attende un ritmo medio annuo di sviluppo del commercio mondiale settoriale di poco superiore ai 5 punti percentuali nei valori in euro.

Nello scenario al 2025 l’export italiano del settore è atteso crescere nei valori in euro del +4.6% quest’anno, e su ritmi analoghi nel triennio successivo (attestandosi nel 2025 su valori di oltre 1.9 miliardi di euro), confermando al termine del periodo previsivo il terzo posto nella graduatoria dei principali esportatori mondiali del settore.

L’impatto sulle imprese esportatrici italiane del conflitto russo-ucraino

Con lo scoppio della guerra le imprese si sono trovate a dover fare i conti con uno shock dai molteplici effetti sulla vita aziendale. Una recente indagine condotta nel 2022 dal Centro Studi Tagliacarne- Unioncamere, elaborata su un campione statisticamente rappresentativo di 3.000 imprese manifatturiere con un numero di addetti tra 5 e 499, mostra come l’impatto sulle imprese, complessivamente, sia medio, anche se per le imprese esportatrici la quota di quelle che hanno subìto un impatto alto è pari al 19% (contro il 14% nel caso delle non esportatrici).

Distinguendo le imprese esportatrici in base al grado di apertura internazionale (export-extensive) si rileva che la quota di imprese che subisce un alto impatto aumenta proprio al crescere del loro grado di apertura, seppure in modo relativamente contenuto: si passa dal 18% nel caso delle imprese con un ridotto livello di export-extensive al 22% per quelle con elevato export-extensive.

I maggiori effetti del conflitto dichiarati dalle imprese sono l’aumento dei prezzi delle materie prime e prezzi dell’energia, segnalati da circa 9 imprese su 10. Alcune differenze emergono sui problemi di approvvigionamento delle materie prime, segnalati maggiormente dalle imprese esportatrici (54% vs 48%). Oltre ai problemi di approvvigionamento, le imprese esportatrici si trovano a fare i conti con maggiori problemi relativi alla riduzione delle vendite, perché al rallentamento della domanda nazionale si somma una dinamica più lenta anche del commercio mondiale: la riduzione delle vendite è dichiarata in maniera più diffusa dalle imprese export-oriented rispetto a quelle domestic-oriented (14% vs 8%).

Guardando alla dimensione aziendale emerge come le grandi imprese (250-499 addetti) dichiarano, rispetto alle piccole e medie, più effetti legati all’aumento dei prezzi dell’energia e minori impatti relativi all’approvvigionamento delle materie prime. Questi fattori hanno portato ancor più all’attenzione l’importanza (e la necessità) di accelerare la transizione energetica ed ecologica; a questo riguardo, le imprese esportatrici mostrano una maggiore reattività nel contrastare il problema investendo sulla sostenibilità ambientale. Nel biennio 2020-21, le imprese che hanno effettuato investimenti in processi e/o prodotti a maggior risparmio energetico e/o minor impatto ambientale per rispondere all’aumento dei prezzi delle materie prime ed energetiche sono il 14% tra quelle esportatrici contro il 7% tra quelle non esportatrici. La stessa maggiore reattività green delle imprese esportatrici si riscontra anche rispetto allo shock relativo al conflitto russo-ucraino: tra le aziende che dichiarano di subire l’effetto relativo all’aumento dei prezzi (materie prime/energia), il 18% delle imprese esportatrici ha in programma di investire nel triennio 2022-24 nel green proprio per rispondere all’aumento dei prezzi, contro il più ridotto 10% nel caso delle imprese non esportatrici.

Fonte Rapporto Sace Export 2022