E’ disponibile l’ultima edizione del Compendio Statistico mensile elaborato dal nostro Centro Studi, per il comparto Acimga delle Macchine per cartiere, stampa e editoria. Nel report di questo mese, la sezione “Commercio mondiale” è riservata ad un approfondimento in merito all’efficacia della politica tariffaria americana, tematica che continua a collocarsi al centro del dibattito internazionale.
In un bilancio dei primi nove mesi del secondo mandato Trump, e del grande ritorno del protezionismo a stelle e strisce, appare utile provare a valutare l’efficacia di tali politiche soprattutto in relazione agli obiettivi economici annunciati, riassumibili in due grandi punti:
- aumento delle entrate federali per far fronte all’aumento di deficit pubblico causato dal Big Beautiful Bill, approvato lo scorso luglio, e dai tagli fiscali previsti;
- recupero della capacità produttiva della manifattura USA e riequilibrio del deficit della bilancia commerciale, attraverso il miglioramento della competitività di prezzo delle produzioni realizzate sul territorio nazionale per limitare, se non invertire, il processo di declino industriale.
Aumento delle entrate federali – Il Presidente Trump ha più volte sottolineato come le entrate fiscali provenienti dalle tariffe siano necessarie al deficit di bilancio, ed in effetti, nel periodo gennaio-luglio il gettito fiscale da dazi si stima essere stato pari a 122 miliardi di dollari, più del doppio rispetto allo stesso periodo 2024. Se nei primi due mesi del 2025 le entrate fiscali mensili dai dazi risultavano dell’ordine dei 7 miliardi di dollari, in linea alle entrate medie mensili dello scorso anno, a partire dal mese di marzo – con i primi ordini esecutivi – esse hanno registrato rapidi aumenti, fino ad avvicinarsi ai 30 miliardi a luglio. Particolarmente significativo appare il fatto che oltre i due terzi delle entrate più recenti siano riconducibili a tariffe imposte su merci provenienti da Cina e Asia.
Le tariffe stanno dunque sicuramente contribuendo ad accrescere le entrate fiscali degli Stati Uniti; tuttavia, se confrontate con l’ammontare del deficit federale, il loro peso rimane limitato e inferiore al 10%.
Recupero dell’industria manifatturiera USA – Negli Stati Uniti, la produzione manifatturiera complessiva non ha mai recuperato pienamente i livelli pre-Grande Recessione, come illustrato nel grafico che segue. Sebbene sia un fenomeno che accomuna diverse economie sviluppate, non sorprende che la promessa di un recupero dell’industria manifatturiera americana abbia raccolto particolare favore nell’elettorato statunitense. Dopo la leggera flessione delle quantità importate nel secondo trimestre, il terzo trimestre mostra una ripresa delle quantità importate. Dal lato dei prezzi il segnale, confermato in due trimestri consecutivi, è di un loro aumento. Tali evidenze sembrano suggerire che il deficit competitivo delle imprese statunitensi derivi da fattori più strettamente strutturali che da differenziali di prezzo, e che le misure tariffarie stiano mostrando un impatto limitato nel ridare slancio alla manifattura nazionale.
D’altro canto è molto difficile che, nel breve periodo, le misure protezionistiche possano modificare la capacità produttiva delle imprese manifatturiere americane. È infatti ragionevole presumere che le imprese statunitensi, quando possibile, punteranno soprattutto a massimizzare l’utilizzo degli impianti esistenti, mentre gli effetti di nuovi potenziali investimenti diretti esteri richiederanno anni per concretizzarsi. Anche l’andamento delle esportazioni europee verso gli Stati Uniti evidenzia segnali di una certa tenuta.
In conclusione, sul fronte delle entrate federali, l’aumento del gettito derivante dai dazi rappresenta un risultato tangibile. Tuttavia, il loro contributo al riequilibrio dei conti pubblici rimane marginale se confrontato con la dimensione complessiva del deficit federale. Inoltre, in questa configurazione, i dazi appaiono sostanzialmente prelievi fiscali che gravano direttamente sugli importatori americani, ridimensionando la narrativa politica di un onere economico “scaricato” sui partner esteri, per compensare – solo parzialmente – i tagli fiscali previsti, mettendo in luce l’effetto redistributivo dei dazi sull’economia USA.
In merito al recupero della manifattura statunitense, l’analisi congiunta dei volumi e dei prezzi medi delle importazioni suggerisce che il deficit competitivo dell’industria americana affondi le proprie radici in fattori strutturali, difficilmente correggibili attraverso sole misure doganali.
In definitiva, alla luce delle evidenze attuali, la politica commerciale della nuova amministrazione Trump appare di efficacia limitata rispetto ai due obiettivi economici dichiarati.
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